L’emendamento sulla caccia in città, solo “analfabetismo legislativo”

L’emendamento sulla caccia in città, solo “analfabetismo legislativo”


Inevitabile che l’emendamento sulla fauna selvatica sia al centro di uno scontro ideologico. Il tema della caccia infatti è materia che da sempre ispira opinioni radicali, scontri tra animalisti e cacciatori, tra ambientalisti e associazioni. Il problema in realtà, secondo il mio punto di vista di docente e direttore del Master in Amministrazione e gestione della fauna selvatica dell’Università Ca’ Foscari, è un altro. É che si tratta di un pasticcio legislativo: l’emendamento è affetto da “analfabetismo giuridico”. E i risultati si vedono. Perchè gestire la fauna selvatica è un problema complesso e non significa solo avere competenze veterinarie e biologiche, ma per affrontare una materia simile, la scienza deve essere unita alla conoscenza giuridica. Come la vicenda di oggi sta dimostrando.

 

 

Per fare un po’ di ordine, si può intanto dire che la legge che prevede e disciplina distintamente l’attività venatoria e l’attività di controllo della fauna selvatica, c’era già. Anzi l’emendamento riguarda un articolo il 19 della legge sulle “Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio” (157/92) e pure l’art. 22 della legge quadro sulle aree protette e che riguarda i parchi naturali regionali e le riserve naturali regionali. 

 

Da sottolineare a questo proposito che è fuori bersaglio le critiche secondo le quali l’emendamento estende la caccia alle aree protette. Perché non si tratta di “caccia”, ma di “controlli” già previsti anche nelle aree protette. Il problema è però come si faranno da adesso in poi questi “controlli”. Perchè l’emendamento elimina quello che era uno dei capisaldi della legge: ossia la necessità di tentare con i rimedi ecologici la soluzione dei problemi creati dalla presenza della fauna selvatica.

 

Sì perché, se da una parte con la parola “controllo” s’intende  un’azione ritenuta necessaria per difendere gli interessi minacciati dalla fauna, come la tutela del suolo, di appezzamenti agricoli, per motivi sanitari e di selezione biologica, dall’altra però gli strumenti per attuarla fino adesso erano due: il metodo ecologico (creare recinzioni, strumenti dissuasivi come emissioni sonore e luminose, corrente elettrica), e solo in caso di inefficienza, si pensava a piani di abbattimento. Attuati dai cacciatori dopo un corso di formazione e sotto il rigido controllo delle istituzioni pubbliche. Non si può sparare ovunque e solo alcuni esemplari.

 

Il sistema ha sempre funzionato. In molte situazioni è stato infatti dimostrato come i rimedi ecologici siano a volte più idonei degli abbattimenti, scelti sempre e comunque come seconda opzione. Non solo, c’è anche un secondo aspetto da prendere in considerazione e attiene all’equilibrio che si è consolidato nell’Ordinamento nazionale e sovranazionale tra istanze ambientaliste ed istanze animaliste. In poche parole, se l’abbattimento dell’animale può essere giustificato per la tutela di altri interessi – ambientali, economici, di sicurezza – deve però costituire l’unica alternativa possibile. Altrimenti, è doveroso rispettare la vita ed evitare le sofferenze. In ogni caso, la bussola che fino adesso aveva orientato il legislatore su questi temi è il livello di efficienza della prevenzione dei danni, non dell’abbassamento del numero degli animali. Così come è stato scritto, l’emendamento dimostra di non conoscere il quadro giuridico generale in cui interviene.

 

Non a caso ho parlato di sciatteria oltre che di analfabetismo, perché la nuova formulazione sopprime la necessità di ricorrere ai metodi ecologici prima di ricorrere all’abbattimento. Ma quando la disposizione parla dei piani di controllo numerico recita “Qualora i predetti metodi si rivelino inefficaci”, senza che mai prima di quel momento si faccia riferimento ad alcun metodo. Mi domando qual è il significato di “predetti” per l’estensore della disposizione.

 

 

Il ruolo di Ispra

Nell’originaria formulazione dell’art. 19 (prima dell’emendamento) l’ISPRA interveniva sia preventivamente con un suo parere sostanzialmente vincolante che dava l’avvio al piano di controllo della fauna e, successivamente, per la valutazione dell’inefficienza dei metodi ecologici. Con l’emendamento invece l’Ispra viene solo “sentito”. Anche su questo si appuntano i critici e probabilmente chi ha scritto la disposizione aveva effettivamente l’intenzione di degradare il parere di Ispra, ma non credo che ci sia riuscito. Le valutazioni  di Ispra “si ascrivono nella logica di individuare standard minimi ed uniformi di protezione ambientale” come affermato dal Consiglio di Stato (Sent. 3852/2018), e dunque rimangano determinanti. L’emendamento contiene anche un’affermazione che si potrebbe definire ingenua e con un possibile effetto boomerang: “le attività di contenimento non costituiscono esercizio di attività venatoria”.

 

Ma che senso ha affermare che una certa attività non è caccia ma è controllo?Perchè è chiaro che la qualifica di “caccia” o “controllo” dipende da come è regolata, mica dal nome che gli viene dato. Altrimenti si fa come Humpty Dumpty in Alice nel paese delle meraviglie che dà alle parole il significato che vuole senza tener conto di quello che hanno. Insomma è una formulazione ingenua adatta ad una fiaba più che ad una norma. E ha un possibile effetto boomerang perché qualifica sotto il nome di “controllo” e non “caccia” le attività di contenimento del primo periodo. Quindi esclude la qualifica di “controllo” proprio agli abbattimenti.

 

 

 Importante metetre l’attenzione sul nuovo articolo introdotto dall’emendamento, l’art. 19 bis, che prevede il piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica. Piano che si presta ad essere il reale strumento di regolazione dell’attività di controllo. Insomma l’emendamento introduce una forma mascherata di delegificazione. Se così fosse (il rischio è evidente) ci sarebbe una violazione anche dell’art. 9 della Costituzione che pone in materia una riserva di legge. Ma è tutta la disposizione così come è scritta a mostrare i suoi difetti. Anche per ciò che avrebbe potuto esserci e non c’è. 

 

La pratica attuazione della normativa sul controllo aveva messo in evidenza alcune carenze che si potevano colmare. Mi limito ad alcuni accenni. Si è persa, per esempio, l’occasione di uniformare alcuni aspetti, differenziandone altri, nelle disciplina delle aree protette rispetto ad altre aree. Si è persa per esempio l’occasione per definire i contorni della fattispecie, facendo meglio risaltare le differenze dell’attività di controllo rispetto alla caccia anche nel solco di un’importante sentenza della Corte Costituzionale (sent. 21/2021) che già aveva allargato la platea dei soggetti che possono concorrere all’espletamento di questa attività.

 

Si è persa l’occasione per definire quali norme degli abbattimenti in sede di controllo sfuggono alla disciplina della legge generale sull’attività venatoria. Si è persa l’occasione per chiarire il ruolo dei cacciatori rispetto al ruolo delle guardie provinciali o del Parco, nonchè i limiti all’iniziativa dei primi ed i poteri dei secondi e le rispettive responsabilità. Sono temi già presenti, ma ancor più emergenti con la previsione dell’estensione del controllo ai centri urbani. Vale la pena considerare, ad esempo, che un’arma da fuoco usata per i cinghiali è letale a 4 chilometri di distanza e che vi sono palle che se incontrano un ostacolo non si frammentano ma imbalzano. Si pensa ad una (assurda) deroga alla regola sulle distanze per l’uso dell’arma da fuoco? E ancora: il ruolo della polizia provinciale è limitato al coordinamento o è necessario qualcosa di più? Come per esempio la previa verifica delle condizioni di sicurezza con l’ausilio di periti balistici. E a quest’ultimo proposito perché non si sono seguite le linee guida Ispra che prevedono l’uso dell’arco nei luoghi in cui l’arma da fuoco è pericolosa? Viene il sospetto che al momento in cui sono state scritte le nuove regola per l’attività di controllo sulla fauna selvatica, le linee guida dell’Ispra non siano neppure state lette?

 

Il consumo alimentare degli animali abbattuti

 Si è persa l’occasione per una regolamentazione appropriata che, come minimo, tenga conto della normativa europea (Reg.CE 853/04). A questo proposito vorrei prendere posizione nei confronti del bigottismo di chi si oppone in via di principio al consumo alimentare della selvaggina abbattuta. Ma è mai possibile pensare di buttare via carne di qualità in una situazione di povertà diffusa, o peggio accollare alle amministrazioni e quindi alla collettività i costi, peraltro elevati dello smaltimento?

 *L’autore è docente di Diritto amministrativo a Ca’ Foscari e direttore del Master di primo livello in amministrazione e gestione della fauna selvatica 

 



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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-12-23 11:14:29 ,

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Il post dal titolo: L’emendamento sulla caccia in città, solo “analfabetismo legislativo” scitto da [email protected] (Redazione di Green and Blue) il 2022-12-23 11:14:29 , è apparso sul quotidiano online Repubblica.it > Green and blue

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